Attualità

Riscoprire la semplicità: riflessioni di un giornalista senza computer

Pensieri, parole, opere… e opinioni

La scorsa settimana mi sono ritrovato improvvisamente senza computer, uno strumento che utilizzo quotidianamente e in modo intensivo per il mio lavoro di giornalista e addetto stampa. Questo inconveniente, inaspettato e destabilizzante, mi ha gettato per qualche ora in uno stato di sincera disperazione. Mi sono chiesto come avrei potuto organizzare il lavoro senza l’ausilio della tecnologia, che considero ormai parte integrante della mia vita professionale e personale.
Tuttavia, come spesso accade nella vita, anche questo evento ha avuto un risvolto positivo. Privato del mio fidato computer, ho avuto l’opportunità di riflettere sulla pervasività delle nuove tecnologie nella nostra quotidianità e su quanto la necessità di restare sempre connessi, sfruttando strumenti di ultima generazione, ci abbia privato dello spirito di osservazione che dà valore anche alle piccole cose del vivere quotidiano.
Superato il primo momento di smarrimento, ho dovuto fare affidamento su strumentazione obsoleta: un vecchio laptop con prestazioni ridotte e persino qualche post-it. Inaspettatamente, sono riuscito a portare ugualmente a termine i miei compiti, anche se i tempi si sono spesso allungati. Questo rallentamento forzato mi ha permesso, talvolta, di assaporare meglio ciò che stavo facendo. Ho riscoperto il piacere di scrivere a mano, di pensare più attentamente a ogni frase prima di trascriverla, e di prendere appunti in modo più dettagliato e riflessivo.
Questa esperienza mi ha fatto comprendere che, pur essendo un grande sostenitore delle nuove tecnologie e del modo in cui ci semplificano la vita, è possibile vivere e lavorare anche in un mondo non totalmente aggiornato. Anzi, questo potrebbe persino portare a valorizzare il lavoro manuale, quell’insieme di gesti e di pratiche che hanno reso grande la nostra specie e permesso ai nostri antenati di realizzare le grandi imprese per le quali dobbiamo essere loro grati.
Riflettendo ulteriormente su questa esperienza, mi sono reso conto di quanto spesso diamo per scontato l’accesso immediato a informazioni e strumenti che ci permettono di lavorare in maniera efficiente e veloce. Il digitale ha certamente trasformato il modo in cui produciamo e consumiamo informazioni, ma a volte può anche distrarci dalla qualità del nostro lavoro. Scrivere a mano, con una penna su un foglio di carta, costringe a rallentare e a riflettere maggiormente su ciò che si scrive, migliorando la capacità di esprimere idee in maniera più chiara e ponderata.
Inoltre, dover fare affidamento su una tecnologia meno avanzata insegna l’importanza della flessibilità e dell’adattabilità. In un mondo in cui tutto sembra muoversi alla velocità della luce, è fondamentale sapersi adattare alle situazioni più disparate. Questo non solo migliora le nostre capacità di risoluzione delle problematiche, ma ci rende anche più resilienti di fronte agli imprevisti.
Un altro aspetto che ho riscoperto è stato il valore del contatto umano diretto. Vista la difficoltà a inviare immediatamente e-mail o messaggi istantanei, mi sono trovato a dover fare più telefonate e a incontrare più persone faccia a faccia. Questi incontri, che a volte sembrano una perdita di tempo rispetto alla rapidità delle comunicazioni digitali, si sono rivelati estremamente preziosi. Parlare direttamente con colleghi e collaboratori ha arricchito le mie interazioni professionali e mi ha permesso di costruire rapporti più solidi e significativi.
Questa esperienza mi ha anche portato a rivalutare il concetto di produttività. Viviamo in una società che ci spinge costantemente a fare di più, a essere sempre più efficienti, a rispondere immediatamente a ogni stimolo. Tuttavia, il rallentamento forzato mi ha mostrato che la produttività non si misura solo in quantità, ma anche in qualità. Prendersi il tempo per riflettere, per pensare in modo critico per produrre lavori di qualità superiore può essere altrettanto, se non più, importante della velocità.
Ho anche scoperto che lavorare con strumenti più semplici e meno tecnologicamente avanzati può favorire la creatività. La limitazione imposta dalla mancanza di un computer moderno mi ha costretto a trovare soluzioni alternative e a pensare fuori dagli schemi. Questo processo creativo è stato stimolante e mi ha permesso di sviluppare nuove competenze e abilità che altrimenti non avrei esplorato.
In conclusione, pur continuando a ritenere fondamentale l’apporto delle tecnologie moderne, questa settimana senza computer mi ha insegnato che ogni tanto è salutare prendere una pausa dalla frenesia digitale per riscoprire il valore delle cose semplici e del lavoro manuale. Un mondo non totalmente digitalizzato è possibile e, in certi casi, persino auspicabile per recuperare quella dimensione umana che spesso rischiamo di perdere di vista. Questo periodo di adattamento e di riflessione mi ha arricchito a livello personale e professionale, e mi ha dato una nuova prospettiva su come possiamo integrare il meglio delle tecnologie moderne con il valore intramontabile delle pratiche tradizionali.

Foto di form PxHere

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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