I riti funebri di Locri: un’interpretazione alternativa del dolore e del ricordo
La Repubblica dei locresi di Epizefiri
Di Giuseppe Pellegrino
Invero da qualcuno la norma viene riportata in modo meno completo, ma forse più realista, se i reperti delle tombe non depongono per una pratica di cremazione, o similia. Presso essi non è lecito piangere i morti, ma dopo il trasporto funebre, celebrano un banchetto.
Conferma il dato Girolamo Marafioti sostenendo “Haveuano i locresi per costume non piangere il morto; ma tosto ch’era dato sepoltura, faceuano conviti.”
Il carattere rivoluzionario della previsione del divieto di piangere i morti, si può capire dal fatto che non era insolito presso i greci la propensione al lamento in qualsiasi situazione, tanto che l’espressione Pianto greco è conosciuta ovunque. Di certo, l’espressione nasce dal Coro che nella tragedia aveva il compito di commentare l’azione in corso, sottolineando i passaggi più tragici con un lamentoso oih! oih! oih! prolungato. Da qui l’espressione è passata a indicare ogni tipo di lagna, espressione di dolore. Ciò comunemente presso i greci, tanto che dallo stesso Omero possiamo trarre un rituale molto scenografico che comprendeva l’esposizione del cadavere (próthesis) e il compianto delle donne (góos). Il rito tradizionale non presenta comunque sostanziali mutamenti nel tempo presso i Greci. Le donne lavavano il corpo del defunto e lo cospargevano di essenze dopo che gli erano stati chiusi gli occhi. Poi partiva il trènos(lamento)rituale con gemiti e singhiozzi. Nell’Iliade,quando vengono celebrati i funerali di Ettore, la prima che inizia il canto funebre è Andromaca, che piange lo sposo prendendo la testa nelle sue mani:
Dai giovani anni, o sposo, tu parti, e me vedova lasci
entro casa.
Segue la madre Ecuba:
Ettore, al cuore mio diletto su tutti i miei figli…
Infine, Elena:
Ettore, al cuore mio diletto fra tutti i cognati…
Che il piangere i morti, anche da parte degli uomini, fosse una consuetudine antica presso i Greci, ne è prova il pianto di Achille per la morte dell’amico, per come cantato da Omero. I versi sono tratti dal XVII libro dell’Iliade e sono conosciuti comunemente come Il pianto di Achille:
Ah! Infelici, perché vi donammo al sire Peleo a un mortale,
e voi non siete soggetti né a vecchiezza né a morte?
Forse perché fra i miseri uomini abbiate dolore
No, non c’è nulla più degno di pianto dell’uomo,
fra tutto ciò che respira e cammina sopra la terra.
Ma non su di voi né sopra il carro bellissimo
Ettore figlio di Priamo andrà in giro; non lo permetto
Non basta che s’abbia l’armi e di quelle si vanti?
A voi nei ginocchi e in cuore getterò furia,
sicché anche Automèdonte salviate dalla battaglia
alle concavi navi: gloria infatti darò ancora agli altri,
che uccidano, fin che le navi buoni scalmi raggiungano,
e il sole s’immerga e scenda la tenebra sacra.
Anche i cavalli, addirittura piangono:
I cavalli di Achille, come videro Patroclo ucciso,
lui che era valente, forte e giovane,
cominciarono a piangere.
A Locri, in genere, i riti erano molto semplici. Semplici le tombe: cosiddette certosine e a semibitotte. Niente orpelli. Nella tomba, tutt’al più, si metteva un uovo e/o un gallo di terracotta, che stavano a simboleggiare la vita eterna, per come culto sia degli Orfici, sia, soprattutto, di Persefone. L’uovo era il simbolo della vita, perché da esso si generava non solo un pulcino, ma metaforicamente anche una vita umana; il gallo annunciava l’alba, che col suo canto scacciava la notte, che simboleggiava la morte. Dunque una nuova vita che si rigenerava da quella morta.Sui funerali semplici ha avuto influenza anche la celebre parsimonia dei locresi. Un funerale spesso presso i greci era più costoso di un matrimonio. Più di sicuro dei riti religiosi.
L’influenza dei riti Orfici e del culto di Persefone a Locri hanno il presupposto di far credere nella eternità dell’anima o del ricordo della persona.
Abbiamo tentato, in una sorta di epigramma, di sintetizzare il fulcro dei riti orfici in tre versi:
All’Anima Grande dell’Universo si ritorna sempre;
La vita è un’illusione; la morte non esiste.
Ovunque tu sia cammina piano.
Dunque la vita era un passaggio continuo, la cui essenza era quella di lasciare traccia di un ricordo di questo passaggio.
Continua…
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