Di Luisa Ranieri
Il loro Palazzo (degli zii Ranieri) al centro del paese col sottostante negozio di tessuti era la mia (e non solo mia) meta preferita.
(Noi bambini) sceglievamo, per andarci, non la comoda via (a fianco della nostra casa), che si apriva dopo la scalinata, ma quella oltremodo stretta e buia del vicolo vicino al nostro Palazzo in cui casupole, per lo più vuote, si affacciavano su casupole altrettanto vuote e lungo la quale ogni tanto, a consolarci, spuntava qualche fiore selvatico.
Da quel budello buio, alla fine, uscivamo e, alzando gli occhi, venivamo all’improvviso investiti da un ampio cielo azzurro spesso a pecorelle che ci premiava della fatica fisica e psicologica affrontata in quel vuoto di vita appena attraversato.
Eravamo così giunti nella Piazza Centrale del paese e proprio davanti al negozio di zio Dominick.
Il negozio dello zio Dominick
Micuzzu (prima dell’America)e Dominick (dopo l’America) era davvero un galantuomo, benvoluto e stimato da tutti.Il suo negozio era per me il luogo delle meraviglie, pieno di tessuti e fili colorati che stuzzicavano la mia curiosità tanto che non mi stancavo mai di chiedergli:
«E questo, di che stoffa è , zio?»
«Di piquet di cotone, per i vestiti dei bambini»rispondeva lui
«E questo?»
«Di mussola di cotone, per le camicie leggere.»
«E questo?»
«Di voile di seta, per i vestiti eleganti»
«E questo?»
«Di tovagliato, per fare le tovaglie»
«E questo?»
«Di spugna di cotone, per fare gli asciugamani»
E, così, rispondendo alle mie domande e facendomi toccare i tessuti di cui mi stava parlando, attivava quella mia sensibilità verso di essi che mi ha poi accompagnata in tutti luoghi della mia vita: a Venezia nei confronti dei preziosi broccati che solo là si possono trovare; al Pavaglione di Bologna verso le scintillanti vetrine di Zinelli o le altre direttamente prospicienti Piazza Maggiore; a Milano, nelle botteghe artigianali di Corso Magenta che sono le uniche rimaste dopo l’invasione dei nuovi negozi di articoli già confezionati chissà dove, chissà come e chissà da chi.
Tratto da Sulla scacchiera della vita, Pagg. 58 e 59