Giornalismo giudiziario: attacco alla giustizia o difesa dei diritti?
Dal Direttivo Camera Penale di Locri Giuseppe Simonetti
L’articolo apparso sull’Unità del 30/04/2024, a firma di Angela Nencioni, ha suscitato alcuni interrogativi a partire dal titolo: Pregate il cielo di non finire nelle mani del Tribunale di Locri.
Un chiaro ed evidente attacco all’amministrazione della giustizia verso i Magistrati del Tribunale di Locri e, quindi, anche all’avvocatura penale che ne consentirebbe un uso spregiudicato e al di fuori delle regole.
Non è soltanto il titolo, però, a far percepire che questo sia il fine ultimo, piuttosto che quello di informare, anche perché ricordiamo i lontani periodi in cui chi faceva cronaca giudiziaria era presente quotidianamente nelle aule di giustizia e viveva il processo (costume abbandonato dagli attuali cronisti) così annullando o rendendo minimo ogni possibile margine di errore sulle notizie da pubblicare.
Ci sorprende, e non poco, che i fatti riportati nel citato articolo, sottesi, secondo l’articolista, all’esistenza di “una ragione nell’ostinazione con cui i giudici si accaniscono su Marjan Jamali” non siano mai venuti a conoscenza di questa Camera Penale e dell’intera avvocatura dei penalisti locresi, che da sempre vigilano, controllano e denunciano tutto ciò che appare anche soltanto disfunzionale e irrispettoso delle regole del giudizio.
Non sappiamo da chi e come l’articolista abbia appreso le notizie, certo è, però, che, senza voler entrare in alcun modo nel merito della vicenda, che deve essere accertata solo e soltanto nel processo, il tono diffamatorio usato verso singoli Magistrati che si sono occupati e che si stanno occupando della vicenda appare come un’ingiustificata e deprecabile esposizione al pubblico ludibrio, frutto di un’ingegneria giuridica maldestra ed errata, laddove il redattore ritiene che “il Tribunale, pur di non ammettere d’aver sbattuto in cella la ragazza senza uno straccio di indagine, si stia attrezzando a farcela restare il più possibile” (sic!), oltre che palesemente diffamatoria allorquando allerta i lettori: “Occhio, il Tribunale di Locri è una fabbrica di scafisti immaginari”, che ha provocato, così, una degenerazione dell’informazione che contravviene al suo uso corretto e a ogni forma di indebita intrusione in ambito processuale.
La necessità di stigmatizzare certo modo di fare informazione nasce dal fatto che questa Camera Penale è stata ed è sempre attenta e vigile sentinella di ciò che accade nei processi penali che si celebrano nel locale Tribunale. La vicenda narrata dalla giornalista nella sua irrispettosa ed irriverente proposizione sarebbe stata sicuramente a conoscenza dell’intera avvocatura dei penalisti locridei e oggetto di sicura rimostranza.
Singolare, del resto, che si denuncino anomalie, tali o presunte, sebbene non solo esistano i comuni rimedi processuali, evidentemente sconosciuti al redattore dell’articolo, ma non si ha neppure notizia di eventuali comunicazioni di illeciti disciplinari agli organi a ciò preposti.La modalità sensazionalistica di riportare la notizia ai lettori ci induce, ancora una volta, a invitare tutti e per primi i colleghi avvocati, a ripudiare la gogna mediatica verso qualsiasi soggetto, che ha quale effetto solo quello di disorientare l’opinione pubblica e fuorviarla da quelle che sono le vere problematiche inerenti i fondamenti del giusto processo fissati dall’articolo 111 della Costituzione.
Vorremmo sapere cosa ne pensa sull’intera vicenda l’Associazione Nazionale Magistrati, sempre solerte a stigmatizzare i comunicati dell’avvocatura associata allorquando denuncia, con fini costruttivi, qualche malfunzionamento, ma silente su una vicenda così allarmante e, per di più, amplificata dall’eco di una testata giornalistica nazionale.
La Camera Penale di Locri ritiene da sempre che la giustizia mediatica sia uno dei principali ostacoli che si frappone a un giusto processo, in quanto pone in rotta di collisione diritti fondamentali che devono necessariamente essere bilanciati con giusto equilibrio per la loro stessa salvaguardia.
Costruire una narrazione ricca di suggestioni negative verso l’accusato o, come in questo caso, verso chi deve accertare la sussistenza o meno di responsabilità, significa emettere giudizi mediatici e sociali che inquinano la serenità e asetticità del processo. Insomma, informare non significa diffamare, tantomeno ritenere che l’attività giornalistica sia legibus soluta in nome del diritto all’informazione.
La Camera Penale Simonetti combatterà sempre il tritacarne del processo mediatico, frutto di notizie ingurgitate senza alcun contraddittorio e si ergerà sempre a difesa di chiunque sia sottoposto a un’ingiusta gogna mediatica, per la difesa dei diritti, delle libertà e del rispetto delle regole.
Foto: tribunalelocri.it