Costume e SocietàLetteratura

Il divieto del vino puro a Locri: tra leggi, usi antichi e riti orfici

La Repubblica dei locresi di Epizefiri

Di Giuseppe Pellegrino

Riesce difficile credere autentica la legge di Zaleuco riferita da Ateneo, volta a sanzionare il consumo eccessivo di vino. Invero, leggendo attentamente la norma si capisce che il divieto è meno duro di quello che si pensa. Così dice Anteo, per come riportato:

Presso i Locresi di Epizferi, se qualcuno beveva vino puro, senza che glielo lo avesse prescritto il medico a scopi terapeutici, era condannato a morte in base a una legge di Zaleuco

Dunque il divieto non era quello di bere vino, ma di bere vino puro, non contro il divieto del medico. Al contrario, il medico poteva autorizzare il paziente a bere vino per ragioni di cura.Il divieto di bere vino aveva sicuramente origini micenee, se come ricorda Platone nelle sue leggi, l’uso era anche di Sparta, tanto che nel Libro I, nel dialogo con Clinia, si osserva che “il Legislatore di Creta ha fissato per noi tutto il complesso del diritto pubblico e privato, con lo sguardo fisso alla condizione di guerra. Ateniese controbatte che il divieto non ha fondamento logico, mentre lo stesso uso del vino poteva essere regolamentato e limitato magari ai soli banchetti.
Eliano ci tramanda una dizione del divieto preferibile e più conforme al dettame di legge:“Se alcuno dei Locresi Epizefiri ammalato avrà bevuto vino puro senza essergli stato ordinato dal medico, sebbene sia ritornato sano, sarà punito di morte perché ha bevuto di sua volontà”.Ci è di aiuto in tal senso anche Girolamo Marafioti che, sul divieto di bere vino puro pena la sanzione del laccio, precisa che le leggi di Zaleuco prevedevano che se qualcuno presso i locresi avrebbe bevuto vino puro anche come medicina, senza che vi fosse stata prescrizione medica, sarebbe stata comminata la pena della morte.Il divieto non era, quindi, quello di bere vino, ma di bere vino puro. In questo senso ha interpretato la norma lo stesso Ateneo. Il caso di Locri non era isolato, se Valerio Massimo sostiene che il consumo di vino fosse sconosciuto alle donne romane, affinché non scivolassero verso la vergogna, poiché il passo immediatamente successivo all’ubriachezza era solito essere l’atto sessuale non consentito. Ovviamente, il divieto riguardava solo le donne, tanto che Aulo Gellio ricordava che era uso baciare le donne solo al fine di vedere se puzzavano di vino.
Inutile ricordare che Marco Porcio Catone equiparava il bere vino da parte delle donne all’adulterio.
Il fondamento della norma aveva molti supporti, ma il principale era di natura religiosa, e va cercato nei riti orfici che a Locri, ma anche in tutto il territorio locrese, compresa la Hipponion, aveva terreno fertile, tanto da ispirare non solo la norma del divieto di bere vino puro, ma anche quella del divieto di piangere i morti. La religione Orfica e i suoi riti, nella Locride avevano una forte componente. Invero, i riti orfici avevano uno scopo purificatorio e catartico.
L’orfismo addolciva gli aspetti più cruenti del culto di
Dioniso e sostituiva le danze orgiastiche (molto in uso a Locri per il culto di Persefone), il vino e la carne, con offerte vegetali e di incenso accompagnate da danze e canti liturgici. Basti pensare al ritrovamento di laminette orfiche a Hipponion (Vibo Valentia), al tempo in cui era locrese e che si riportano al fine di sottolineare l’importanza dell’Orfismo nel territorio della Locride. La laminetta d’oro contiene delle istruzioni per l’aldilà. Segnava il percorso che l’anima doveva percorrere per inseguire l’Eternità e avvertiva dal pericolo di avvicinarsi alla fonte del Fiume Lete, che portava alla morte dell’Anima. Chiaro il riferimento all’Oblio e alla Memoria, il primo legato alla morte dell’Anima il secondo (il Ricordo) alla sua Eternità.

Continua…

Foto: PxHere

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