Di Francesco Cesare Strangio
«Madonna mia… Che brutta notizia che mi avete dato! Con Rocco eravamo buoni amici. Non c’era volta che scendevo in marina che non andavo a trovarlo all’ambulatorio. L’ho sempre visto con il sorriso sulle labbra. Quando mi vedeva, chiedeva scusa ai pazienti e andavamo a prendere un caffè al bar davanti alla stazione ferroviaria. Madonna mia che tragedia!»
Rocco Romeo era un galantuomo che il popolo amava per la sua disponibilità.
Quando si candidò a sindaco, vinse con il 70% dei voti.
«I funerali quando li fanno?» domandò Giorgio.
«In serata saranno affissi i manifesti» rispose il farmacista.
«Cosa dite… non sarebbe giusto andare a fare visita alla famiglia del compianto Rocco?» domandò Mario ai presenti.
«Credo che sia la cosa più giusta da fare» rispose il medico.
Fuori, a pochi passi dall’ambulatorio del medico, c’era la Mercedes 2000 del farmacista. I quattro salirono e partirono per andare a casa del defunto. Nicoletta rimase attonita, il volto tradiva la sua commozione.
Rocco Romeo era conosciuto in tutta la Provincia. Oltre alla professione di medico, era membro del direttivo provinciale della Democrazia Cristiana. Dalla sua bocca non uscirono mai parole oltraggiose nei confronti di nessuno. Il suo linguaggio era particolarmente gentile e rispettoso, tanto che la gente era solita dire: «Rocco non è un uomo di questo mondo.»
Al bar Carducci i giovani finirono di bere e ognuno, a eccezione di Rocco Valpreda, inforcò la propria bicicletta e partì per fare rientro a casa.
Salvatore, tenendo fede all’impegno assunto con la cugina Lucia, una volta arrivato all’incrocio che dava verso casa, salutò Marco e prese a pedalare con molta più forza.
La strada era dissestata a causa delle precipitazioni abbondanti che avevano colpito la zona. Le buche profonde lo costrinsero ad avanzare a zig zag. Mancavano meno di due chilometri per arrivare al cascinale dei parenti. Era curioso di sapere com’erano andati realmente i fatti nella sparatoria con i carabinieri.
Da lontano, dopo aver superato una curva che dava sopra un dirupo, vide il cascinale della cugina Lucia. Aveva avuto la sensazione di aver visto delle persone che gironzolavano lì attorno. Si fermò e si posizionò in modo da non poter essere visto. Aveva steso per terra la bici, in modo da evitare eventuali riflessi dovuti alla luce del sole, che picchiava con particolare intensità.
La distanza dal cascinale era tale che non permise a Salvatore di distinguere i contorni del viso delle persone, non riuscendo quindi a capire di chi si trattasse, ritenne opportuno avvicinarsi ulteriormente. Salì sulla bici e in poco tempo guadagnò una posizione che distava circa trecento metri dal cascinale. Tra lui e il manufatto vi era un profondo dirupo. Le parete della valle erano di roccia, comunemente chiamata pietra morta.
Dopo dieci minuti, Salvatore riuscì a stabilire che il numero delle persone presenti al cascinale era di quattro, tra loro c’era uno legato con una catena al collo e un cappuccio nero in testa che gli impediva di vedere.
Stavano spostando il povero disgraziato verso il bosco, dove c’erano un’infinità di grotte inesplorate non riportate su nessuna mappa.
Sergio rimase di guardia al cascinale e con un binocolo osservava i dintorni.
Salvatore capì che si trattava di un uomo sequestrato a scopo estorsivo.
Sergio partì in direzione del bosco e quando scomparve alla vista, Salvatore saltò sulla bicicletta e prese a pedalare come un forsennato in direzione della propria casa. Di quello sporco affare non ne voleva sapere. Anzi, pensò che non convenisse parlare neppure con sua madre.
Avendo assistito da lontano allo spostamento del sequestrato, si rese conto della gravità della proposta fattagli dal cugino. Se avesse accettato di entrare a far parte della ‘ndrina a cui faceva parte Sergio, quel giorno assieme al sequestrato ci sarebbe stato anche lui.
Suo compare mastro Peppe si era dimostrato assennato e lungimirante.
Salvatore rivolse lo sguardo al cielo e ringraziò il padreterno per essere andato da mastro Peppe a chiedere consigli.
Il cugino Sergio gli aveva fatto vedere la faccia meno brutta della medaglia; il lato oscuro l’avrebbe scoperto da solo, strada facendo.
Arrivato a casa, salutò la madre e si sdraiò sul letto a pensare le assurdità della vita. Quelle persone avevano compiuto un’azione che violava i suoi principi morali. Voleva gridare al mondo intero quanto aveva visto al cascinale di suo cugino. Una moltitudine di pensieri fecero capolino, con estrema insistenza, nella sua mente; fu così che gli venne il dubbio che la sparatoria con i carabinieri era servita per distrarre l’attenzione dal vero problema. Probabilmente il conflitto a fuoco aveva lo scopo di eludere il posto di blocco per favorire lo spostamento del sequestrato dalla marina al cascinale in collina. Non riusciva a darsi una spiegazione capace di sedare il ginepraio dei pensieri che gli solcavano il firmamento della ragione. Sua cugina Lucia, da come aveva parlato, era ignara di come stavano realmente i fatti.
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